Nel corso degli ultimi anni abbiamo visto, spesso a causa dei provvedimenti di
austerity, un aumento delle tasse per quel che riguarda ogni aspetto della vita
quotidiana ed in particolare riguardo il mondo dei percorsi formativi. È dal
2008 che, a seguito della legge 240, i percorsi formativi hanno visto dimezzati i
finanziamenti, e il mondo dell’università ha dovuto correre ai ripari aumentando
la contribuzione studentesca in modo progressivo e allo stesso tempo tagliando
servizi e dequalificando la didattica. Oggi la situazione è notevolmente
peggiorata. Le tasse hanno continuato ad aumentare in modo sproporzionato e
progressivo fino ad arrivare con il governo Monti alla Spending Review, un
provvedimento che penalizza e criminalizza intere fette di popolazione
accademica etichettandole come voce di spesa all’interno di un contesto che
dovrebbe essere completamente estraneo alle logiche di mercato. L’aumento
della tassa sul diritto allo studio al 7,70% e l’aumento della tassa d’iscrizione
del 7,50% estesa a tutta la popolazione studentesca, è diretta emanazione di un
modo di concepire i percorsi della formazione in modo completamente distorto:
voce di spesa all’interno di un bilancio nazionale da mantenere in pari, e da
sacrificare di fronte al potere economico-finanziario delle banche. La logica è
sempre la stessa, ridurre la possibilità di accesso al mondo dei saperi per
continuare a perpetrare le logiche del Dio mercato nei cui confronti, a pagarne i
sacrifici, sono sempre le classi sociali più deboli.
Senza investimenti da parte dello stato sull’università, senza finanziamenti della
regione sul diritto allo studio, lo studente è quindi costretto a farsi carico
dell’intero costo del proprio percorso formativo.
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